I giorni di Noè. La non cancellazione del mondo

I giorni di Noè. La non cancellazione del mondo

di Roberto Pasolini

 

Il racconto del diluvio universale, contenuto nei capitoli 6-9 del libro della Genesi, presenta al lettore non poche difficoltà di interpretazione, soprattutto a livello teologico. Quale tratto del volto di Dio può emergere da quattro capitoli in cui si illustra l’ideazione, la preparazione e l’attuazione di una catastrofe universale, in cui vengono risparmiati solo pochi uomini e alcuni animali? In che modo questo cataclisma può confermare e approfondire l’immagine di un Creatore paziente e misericordioso nei confronti dell’opera delle sue mani?

 

Eppure, proprio il fatto che venga usato lo stesso numero di capitoli che l’autore ha già consacrato a raccontare la creazione (Genesi 1–2) e il peccato originale (Genesi 3–4), dove si è manifestata l’intenzione di creare un mondo buono e bello, ma anche la capacità dell’uomo di rifiutarlo chiudendosi nella paura e nella violenza, dovrebbe già insinuare la possibilità di un parallelismo narrativo. Nei primi racconti, il focus narrativo si è concentrato attorno ad alcuni personaggi: Adamo ed Eva, Caino e Abele. Ora, nel racconto del diluvio, l’autore mette da una parte tutta l’umanità e dall’altra il Signore Dio: il rapporto non è più uno a uno, ma uno a molti. Ciò significa che Noè, colui che trova grazia agli occhi del Signore e viene risparmiato dal flagello, diventa una figura rappresentativa di tutto il genere umano con cui la storia della salvezza potrà proseguire. Con molta approssimazione, ma anche con una certa perspicacia, potremmo dire che nel racconto del diluvio si prova a raccontare nuovamente come il mondo, dopo essere stato creato e benedetto, è sopravvissuto nonostante l’insorgere del male e della violenza.

 

Se rinunciamo a leggere il diluvio come un atto di collera da parte di Dio e l’avventura di Noè come il destino riservato alle persone perbene, il racconto biblico dischiude molte luci e accende importanti responsabilità per il lettore di ogni tempo.  Nel proposito di cancellare l’uomo dalla faccia della terra, possiamo riconoscere non l’accensione di un progetto distruttivo, ma l’insorgere del desiderio di Dio di potersi giocare fino in fondo con la sua stessa creazione. Dio decide di cancellare tutto perché non si è rassegnato di fronte all’evidenza del male: vuole provare a plasmare ancora quel mondo uscito dalla fantasia del suo cuore e dall’ingegno delle sue mani.

 

Infatti, alla fine, dopo aver tentato di “cancellare” il mondo – senza peraltro riuscirvi – il Signore sembra essersi chiarito le idee su quanto può aspettarsi dall’uomo e su quanto egli stesso è disposto a mettere sul piatto dell’alleanza con lui. Il diluvio è finito e si sono cancellate molte cose sulla terra, soprattutto una certa immagine di Dio. Pur di continuare a credere in noi, il Signore si è adirato, ha fatto scendere le acque dal suo cielo, ha sommerso tutta la terra, non prima di aver “salvato” un resto da cui poter riprendere il filo di una generazione umana più autentica e più feconda. Poi ha posato le armi, ha dichiarato la sua pace ed è rimasto a mani nude davanti alla sua opera, per riprendersi il diritto e la gioia di continuare a plasmarla. Dopo la grande prova del diluvio, le uniche armi che restano nella realtà saranno solo quelle che l’uomo sceglierà di costruire e utilizzare, ogni volta che si sentirà perseguitato, discriminato e oppresso. Dio le armi le ha posate e lo ha fatto per sempre, accettando l’azzardo di una creazione sicuramente più libera, ma anche più esposta al rischio del male e della violenza. I giorni di Noè sono dunque anche i nostri, quelli in cui occorre avvertire la responsabilità di diventare premurosi custodi della vita (e) del mondo, perché Dio possa continuare a plasmare in essa il suo disegno d’amore. Non senza di noi.

 

 



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