
21 Feb Mabul
Mabul
di Davide Assael
L’immagine del diluvio universale ha nutrito l’immaginario culturale occidentale per secoli. Paradigma della catastrofe annunciata, si sviluppa fra Gen. 6, 9 e Gen 10, 32, quando verranno consegnate ai superstiti le prime leggi della storia dell’umanità, i sette principi noachidi validi per tutti i popoli del mondo. Già quest’esito, che potremmo definire pedagogico in quanto presenta la legge come rimedio a quanto avvenuto, ci invita a ripensare l’immagine che abbiamo ereditato.
Basta dare una scorsa al testo per riscontrare che il fenomeno descritto non è affatto un diluvio, ma la caduta delle acque dall’alto e la contemporanea emersione delle acque dal basso.
Dunque sì la pioggia, ma anche l’esondazione dei fiumi, dei laghi, l’emergere delle falde acquifere, fino al punto in cui alto e basso si incontrano senza più distinguersi. Una condizione di perdita dell’orientamento che già si può evincere dal termine ebraico tradotto, molto impropriamente, con «diluvio».
La parola utilizzata dal testo biblico è mabul, che può essere ricondotto alla stessa radice del verbo lebalbel, letteralmente mischiare. Termine negativo, che indica perdita di discernimento, in continuità con l’altro che possiamo accostargli, lehitbalbel, che significa, anche nell’ebraico di oggi, confondersi.
Il cosiddetto diluvio è, allora, uno stato di perdita dell’orientamento. Come quando ci si trova sotto una valanga di neve e non si sa nemmeno verso quale parte scavare perché non si sa più dove sia l’alto e dove il basso. Le leggi offerte all’umanità a catastrofe conclusa, quando le acque si saranno ritirate e la terra definitivamente riemersa, saranno da intendersi come strumenti per riacquisire quel derech, quel percorso costruttivo, che gli esseri umani avevano dimostrato di non saper seguire autonomamente.
Pregiudizialmente interpretato come atto di un Dio iracondo, arbitrario, persino vendicativo, il mabul è invece un atto di giustizia, che sempre distingue vittime e carnefici, chi ha compiuto il torto e chi l’ha subito, chi ha alimentato la distruzione e chi no.
Agli occhi della Trascendenza, sarà sufficiente un piccolo gesto di bontà, o il riflesso della propria correttezza nell’educazione dei figli perché Noè venga salvato con tutta la sua famiglia. Noè, non quello che definiremmo uno stinco di santo, non HaZadik, Il Giusto, definizione attribuita a Giuseppe consigliere del faraone, ma un giusto relativo. Giusto fra i suoi contemporanei. Figura centrale di questi passaggi biblici.
Sì, perché tutte le grandi tradizioni religiose hanno una propria storia del diluvio inteso come gesto di distruzione e rigenerazione, ma il racconto biblico è la storia di come ci si salva.
Decisivo, allora, sarà capire la funzione dell’arca, seguendo pedissequamente le istruzioni per costruirla. Così, forse, sopravvivremo alle continue crisi che stanno segnando il nostro tempo. Immagini moderne del diluvio della generazione di Noè.