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Il significato del Dio “agape” e il senso della realtà

di don Alberto Cozzi

L’esperienza dei cristiani si basa su una certezza lapidariamente espressa in 1Gv 4,9: “Dio è amore”, perciò “Chi ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio”. Non si tratta di un’intuizione mistica, né di un’affermazione speculativa, ma della testimonianza di un’esperienza storica, inscritta nel tempo: “In questo si è manifestato l’amore: non noi abbiamo amato Dio, ma Egli ha amato noi e ha inviato il Figlio suo”. L’amore che è Dio dice il senso di una storia e quindi di un’esperienza da raccontare nella giusta prospettiva.

Ripartiamo dalla testimonianza biblica per farci un’idea del Dio che è “agape” (amore): cosa c’è in gioco nella relazione col Mistero divino, inteso come amore?

Uno sguardo alla Scrittura

Il termine greco “agape” fu utilizzato dal Nuovo Testamento perché corrispondeva bene all’ebraico ‘ahab (e composti), un termine che la Bibbia ebraica utilizzava per esprime l’amore di Dio per il popolo eletto e l’amore che il popolo era chiamato ad avere per il suo Dio (Deuteronomio 6,4-5). In greco esistevano termini più coloriti ed efficaci per dire l’amore, come eros e philia. La versione greca della LXX utilizzava proprio il termine “agape” per dire Il tipo di relazione con Dio e tra credenti che c’è in gioco nell’esperienza dell’alleanza.

Sono soprattutto i profeti a interpretare la relazione di alleanza in termini di amore nuziale (Osea, Geremia), esprimendola col termine ‘ahab/agape. Il libro del Deuteronomio raccomanda di “amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6,4), corrispondendo così al Dio che può dire “di amore eterno (‘ahab ‘olam) ti ho amato, perciò ti ho conservato il mio amore” (Ger 31,3).

Gesù intensifica questa idea dell’amore di Dio e vi affianca l’amore del prossimo (Mc 12,29-31). Il grande comandamento include l’amare il prossimo come se stessi. Anzi chiede che l’amore per l’altro sia all’altezza dell’amore del Padre creatore, un amore che precede, perdona, si effonde ugualmente su tutti, amici e nemici. L’amore di Dio (genitivo soggettivo) diventa la misura dell’amore tra le persone (Lc 6,33-36) .

Paolo riprende questa esigenza espressa da Gesù, ricordando che l’amore di Cristo ci spinge al dono di noi stessi così come siamo stati amati da Dio in Cristo Gesù (2Cor 5, 14-15). E’ interessante che Paolo, che non ha conosciuto Gesù prima di Pasqua, possa dire che “mi ha amato e ha donato se stesso per me” (Gal 2,20). Ora, proprio questo amore è stato riversato da Dio nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è dato in dono (Rm 5,5) e quindi dobbiamo amarci come Lui ci ha amato in Cristo, poiché  “l’amore non procura male al prossimo; quindi la pienezza della legge è l’amore” (Rm 13.10).

Giovanni infine farà il passo decisivo laddove ricorda il comandamento nuovo dato da Gesù: che ci amiamo come lui ci ha amato, ossia come il Padre ama il Figlio e viceversa (Gv 15,9-17). Si tratta quindi di mettere in circolazione l’amore di Dio per noi (Gv 16,27; Gv 17,21).

L’amore come “luogo dell’io”: un’intuizione di sant’Agostino

A un grande interprete di Giovanni (sia il Vangelo che le lettere) come s. Agostino non poteva sfuggire la radicalità di questo dono d’amore che viene da Dio. Amare con lo stesso amore che viene da Dio è la grande sfida dell’esperienza cristiana: si tratta di corrispondere a un amore che ci precede e ci coinvolge, scegliendo di amare Dio piuttosto che il mondo: “Non c’è nessuno che non ami; quel che si domanda è che cosa ami. Non ci si esorta a non amare ma a scegliere quel che amiamo. Ma cosa potremo noi scegliere se prima non siamo stati scelti noi stessi? In effetti, se non siamo stati prima amati, non possiamo nemmeno amare. Ascoltate l’apostolo Giovanni […]: Noi amiamo perché lui ci ha amati precedentemente […] Chi ama? Chi è amato? Gli uomini amano Dio, i mortali l’immortale, i peccatori il giusto, i fragili l’immutabile, le creature l’artefice. Noi abbiamo amato. Ma chi ci ha dato questa facoltà? Poiché egli ci ha amati antecedentemente. Cerca come possa l’uomo amare Dio: assolutamente non lo troverai se non nel fatto che egli ci ha amati per primo. Ci ha dato se stesso come oggetto da amare, ci ha dato le risorse per amarlo. Cosa ci abbia dato al fine di poterlo amare ascoltatelo in una maniera più esplicita dall’apostolo Paolo, che dice: La carità di Dio è diffusa nei nostri cuori… Attraverso l’azione dello Spirito Santo che ci è stato dato. Poiché dunque tanto grande è la fiducia che abbiamo, amiamo Dio attraverso Dio. Senz’altro! Siccome lo Spirito Santo è Dio, noi amiamo Dio attraverso Dio” (Discorsi, 34,2-3).

Ne deriva l’esigenza di un “amore ordinato”, che sappia scegliere di amare Dio come il vero bene della vita: “Conservate l’amore di Dio affinché restiate in eterno, così come Dio è eterno. Ciascuno è tale quale l’amore che ha. Ami la terra? Sarai terra. Ami Dio? dovrei concludere: tu sarai Dio” (Omelie sulla prima lettera di Giovanni, 2,14). L’amore permette a noi di abitare in Dio e a Dio di abitare in noi, poiché è l’amore che dona direzione alla vita, come il peso che conduce le cose al luogo del loro riposo e, nel caso dell’uomo, al luogo della beatitudine: “Ci hai fatto per Te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te” (Confessioni I,1). Nelle Confessioni emerge chiaramente come l’amore che ci guida nella vita sia il “peso” che ci conduce al luogo del nostro riposo, alla nostra verità, e quindi il luogo in cui l’io trova consistenza: “amor meus, pondus meum”.  Chi si riconosce amato e quindi desiderato da Dio giunge a una corretta percezione di sé e degli altri e può trovare così nella vita il peso d’amore che lo porta al luogo della felicità e del risposo, anziché il peso che lo schiaccia. Se falisci l’amore, la vita diventa un peso e ti perdi. Bisogna cercarsi in Dio per trovare il proprio valore, proprio nel suo sguardo d’amore.

Un amore concreto e drammatico, che si fa incontrare nella storia

Ma questo amore che viene da Dio ha a che fare con l’amore passionale, bisognoso o affettuoso di cui viviamo ogni giorno? Non è un amore “celestiale” e quindi ideale, astratto, disincarnato? Nella sua lettera enciclica “Deus caritas est” del 2005, Benedetto XVI offre una preziosa precisazione sull’amore che è Dio (n. 9-10). L’amore che il cristiano chiama “agape” non si contrappone all’eros, ossia all’amore di desiderio, appassionato e travolgente, nemmeno quando viene applicato a Dio, il Dio della rivelazione. “Agape”, in senso teologico, ha anche una connotazione “erotica” e quindi dice un amore passionale e drammatico. E’ passionale, perché esprime l’innamoramento di Dio per la sua creatura, che arriva fino alla gelosia (Es 34,14), ed è drammatico perché porta Dio a lottare con se stesso, lasciando scontrare sulla croce di Gesù la sua giustizia e la misericordia, a nostro vantaggio. Dio combatte con se stesso di fronte al male che l’uomo commette per dare un’altra possibilità, facendo prevalere la misericordia. L’amore/agape che è in gioco nell’esperienza cristiana è qualcosa di vivo e vivace, di dinamico a appassionato, qualcosa che permette al Dio immutabile di com-patire con i suoi amati. “Agape” è un amore che si fa compagno di strada e sa aspettare e perdonare. Tornano alla mente le riflessioni di s. Ambrogio alla fine del commento sui Sei giorni della creazione: “Dopo aver creato i mostri marini, le specie delle fiere e degli animali, Dio non riposò; riposò invece dopo aver fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza […] Ringrazio il Signore Dio nostro che ha creato un’opera così meravigliosa nella quale trovare il suo riposo. Creò il cielo e non leggo che si sia riposato; creò la terra, e non leggo che si sia riposato… ma leggo che ha creato l’uomo e che a questo punto si è riposato, avendo un essere a cui rimettere i peccati” (I sei giorni della creazione, 10,49.76).

L’agape è il riposo di Dio che deve aspettare la sua creatura, cioè perdonare. Dio sa aspettare per amore, ha pazienza e ridona fiducia. E’ bello vedere come Dio sia il riposo dell’uomo, la sua pace e felicità, e l’uomo il luogo in cui Dio si riposa, al vertice della creazione. 

L’Agape fa abitare Dio nell’uomo e l’uomo in Dio.

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